domenica 20 aprile 2008

Reus-Comiti: Abolire la carne

L'articolo «Abolire la carne» di Estiva Reus e Antoine Comiti è apparso sul numero 29 dei Cahiers antispécistes. Il testo integrale può essere consultato qui in versione originale in francese, e qui in traduzione inglese.

Sintesi

La tesi difesa in questo articolo è che già adesso bisogna operare esplicitamente per l'interdizione legale della produzione e della consumazione della carne animale. È una misura necessaria e contemporaneamente ottenibile senza aspettare una rivoluzione della mentalità o dell'organizzazione delle nostre società.

«Non bisogna maltrattare o uccidere animali senza necessità»: ovunque nel mondo, questo precetto fa parte della morale comune. Ovunque nel mondo, il consumo alimentare dei prodotti animali è la causa principale per la quale degli umani maltrattano ed uccidono degli animali, senza necessità.

Tale precetto non è privo d'impatto: alcune persone rifiutano di consumare dei prodotti di origine animale, altre riducono il loro consumo di carne, altre ancora scelgono prodotti provenienti da allevamenti che offrono qualche garanzia sul trattamento degli animali; alcuni paesi adottano leggi di protezione degli animali di allevamento. Ma questo non basta ad invertire la tendenza: il numero di animali allevati e pescati nel mondo cresce inesorabilmente e l'allevamento industriale si diffonde.

È illusorio credere che le disposizioni adottate in favore del benessere animale finiscano per assicurare condizioni di vita e di morte decenti ai miliardi di animali mangiati ogni anno: gli allevatori possono difficilmente decidere di anteporre il benessere delle bestie alla redditività del loro sfruttamento; inoltre, non si dispone né dello spazio né della mano d'opera necessari per trattare un tale numero di animali con cura.

La presa di coscienza del fatto che la produzione di carne animale ha un impatto ambientale disastroso non condurrà necessariamente a un miglioramento della sorte riservata agli animali: se non si tiene conto dei loro interessi in quanto tali, questa presa di coscienza può al contrario sfociare in una intensificazione dell'allevamento.

Il contrasto tra i doveri che gli umani riconoscono di avere verso gli animali e il modo in cui li trattano concretamente non implica che le buone intenzioni dichiarate siano solo ipocrisia. Questo contrasto ci insegna tuttavia che il cambiamento spontaneo dei comportamenti dei consumatori non costituisce una forza sufficiente per metter fine alla carneficina. Per delle ragioni. D'altra parte, è una situazione molto comune: non si riesce neanche a risolvere i problemi della sicurezza sulle strade, dell'inquinamento, della miseria umana, del maltrattamento dei bambini etc. contando unicamente sulla capacità di ognuno a modificare le sue abitudini per portarvi rimedio, anche quando è largamente ammesso che si tratta di calamità.

Per metter termine alla sorte orrenda riservata agli animali mangiati, occorre che la questione sia posta (anche) sul piano politico. Si tratta di far ingranare un processo che si compierà attraverso l'adozione di leggi che interdicano la predazione (caccia, pesca) e la produzione (allevamento) di animali per il consumo umano. Le istituzioni pubbliche giocano inoltre un ruolo nella riconversione dei lavoratori il cui reddito dipende da queste attività.

Questo processo comincia con l'espressione pubblica della rivendicazione di abolizione della carne.

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