In merito all'articolo sull'abolizione della carne pubblicato sul blog di Veganzetta l'8 febbraio 2015, pubblichiamo qui una nostra risposta, dopo aver chiesto a Veganzetta di pubblicarla sul suo blog.
Ringraziamo Veganzetta per aver accettato di pubblicare il nostro testo, ma abbiamo ritenuto non accettabili alcune delle condizioni per la pubblicazione (in particolare, alcuni tagli e modifiche che avremmo dovuto apportare al testo): quello che segue è dunque il testo integrale in cui vengono chiariti e articolati alcuni aspetti relativi al Movimento mondiale per l'Abolizione della carne.
Per Meat Abolition (Italia):
Cristina Beretta
Alessandra Cusinato
Francesca De Matteis
Silvana Ferrara
Alessandra Galbiati
Daniela Galeota
Massimo Lo Scavo
Marco Reggio
Aldo Sottofattori
Abolizione della carne: una risposta a Veganzetta
Il
post del blog di Veganzetta
a proposito della manifestazione per l'
Abolizione della Carne
ha sollevato una serie di critiche a proposito di tale campagna. Riteniamo
importante rispondere a tali osservazioni, sia perché in parte ci sembrano
frutto di fraintendimenti, sia perché, per alcune di esse, si tratta di
osservazioni la cui discussione è molto utile ad articolare meglio i temi
relativi alla rivendicazione per la chiusura di ogni mattatoio e allevamento a
scopo alimentare.
In
sintesi, la
rivendicazione viene
etichettata come “welfarista”, “riformista” e legalista, per concludere che si
tratta di una campagna non antispecista. I primi due termini
vengono usati in modo sostanzialmente
intercambiabile, e crediamo che questo sia decisamente inesatto. Il welfarismo,
come dice la parola stessa, è una tendenza a sostenere il miglioramento delle
condizioni degli sfruttati e delle sfruttate, gli animali in questo caso, senza
mettere in discussione lo sfruttamento stesso. Il welfarismo mira ad
incrementare il benessere (welfare) animale. Si può pensare che sia sempre
controproducente, o che talvolta sia un compromesso accettabile, o ancora che
una politica dei “piccoli passi” sia inevitabile. Questo, però, è poco
rilevante: non si vede come la rivendicazione di chiudere ogni mattatoio possa
essere considerata welfarista, dato che mette in discussione un intero settore
di sfruttamento, senza se e senza ma.
Per
quanto riguarda il riformismo, la questione è certamente più complessa.
Riprendendo un breve passaggio di uno dei tanti testi sul tema, Veganzetta
accusa di riformismo la campagna in questione,
sottolineando una parola che evoca la contrapposizione a
“rivoluzionario”. “Riformista”, nell'uso corrente, possiede infatti
un'accezione dispregiativa, ed è spesso usato come sinonimo di “moderato”,
“compromissorio”, “ambiguo”. In realtà, stiamo qui parlando di riforma nello
stesso senso in cui si sarebbe potuto parlare di riforma a proposito
dell'abolizione della schiavitù! Certamente, in senso tecnico abolire una
pratica di sfruttamento così ampia e istituzionalizzata come la schiavitù umana
(o non umana) è tecnicamente considerabile come una riforma, ma è certamente
più “rivoluzionaria” di molte altre rivendicazioni solo apparentemente più
“forti”. Crediamo quindi che una parola più adatta, al di là di quanto
rinvenibile in un singolo passaggio dei tanti sul tema, sia – piuttosto –
“abolizionismo”. “Abolizionismo” può rimandare all’impostazione che vede
nell’abolizione di singole pratiche l’unico e decisivo strumento di
liberazione, o, come in questo caso, all’impostazione di una singola campagna,
insomma al semplice intento di abolire una pratica, senza escludere altri
strumenti. Ad ogni modo, il punto è che abolire un ambito di sfruttamento non è
necessariamente legalista, come invece sostiene Veganzetta. L’abolizionismo,
insomma, può essere molto conflittuale nei confronti delle istituzioni
speciste.
Va
notato come questo valga allo stesso modo per altre rivendicazioni che vengono
espresse acriticamente dalla quasi totalità dell'ambiente antispecista:
l'abolizione della vivisezione, l'abolizione delle pellicce, l'abolizione della
caccia, l'abolizione della corrida o dei circhi con animali. In sostanza,
queste critiche vengono riservate soltanto all'abolizione degli allevamenti a
scopo alimentare, come se ci fosse qualcosa di più scandaloso nel pretendere la
fine di questa pratica rispetto alle altre. Per inciso, oltre il 99% degli animali
uccisi dagli Umani vengono uccisi per farne o trarne cibo, tramite allevamento
e pesca. Per questo e altri motivi, si potrebbe addirittura sostenere che la
critica di Veganzetta, secondo cui chiedere l'abolizione non intaccherebbe
l'assetto della società specista (limitandosi a modificarne un aspetto
“periferico”), vale in modo molto più chiaro per tutti gli altri settori di
sfruttamento. Infatti, tanto per fare un esempio, è probabile che il sistema
possa vietare l'uso di animali nei circhi senza nessuna particolare
ripercussione sul proprio funzionamento e sui rapporti di potere attuali; è
invece piuttosto improbabile che la chiusura di un settore così importante dal
punto di vista economico, culturale, simbolico, come quello dell'industria
carnea (e dei derivati) non abbia effetti sconvolgenti sulla società specista.
Nonostante
questo, crediamo che ci sia almeno un senso in cui Veganzetta non ha torto a
ritenere “non antispecista” la rivendicazione di “Meat Abolition”: in senso
stretto, abolire la carne non equivale ad abolire lo specismo. Anche chi
pensasse che lo specismo non va abolito ma solo contenuto, o chi ritiene gli animali
“inferiori” ma non fino al punto di poterli uccidere senza necessità, potrebbe,
a rigor di logica, sostenere che gli allevamenti e i macelli devono essere
chiusi. Questo è innegabile, ma non dovrebbe sorprendere: è esattamente quello
che succede con tutte le istanze di opposizione allo sfruttamento animale, dalla
caccia alla sperimentazione su cavie. In generale, poi, soltanto abolire lo
specismo equivale ad abolire lo specismo. Riteniamo che la domanda se una
campagna sia “antispecista” o meno sia piuttosto oziosa, insomma. Più
interessante è chiedersi se una campagna è utile o meno (cioè se sia,
eventualmente, utile nel breve termine - o superficialmente – o controproducente
nel lungo termine - se osservata con attenzione).
In
tal senso ci sembra vadano lette le critiche secondo cui rivendicare
l'abolizione della carne (latte, uova) sarebbe quasi come “mendicare” agli
apparati di stato la salvezza degli sfruttati, per di più legittimandone la
funzione legislativa e di regolazione dei rapporti fra esseri senzienti, una
funzione che tali apparati non possono che svolgere in chiave antropocentrica.
Questa questione, di per sé, molto complessa è stata dibattuta in più
occasioni. Ci limitiamo qui a segnalare la discussione su abolizionismo e
liberazionismo svoltasi durante il IX Incontro di Liberazione animale (2013),
la cui trascrizione è
disponibile sul
relativo sito web. Per brevità, desideriamo
sottolineare un particolare aspetto. Oltre al fatto che le rivendicazioni
possono essere formulate e sostenute in diversi modi (come richieste di
concessioni del potere costituito o, al contrario, come rivendicazioni
conflittuali), occorre notare che nessun* è così ingenu* da pensare che una
piccolissima minoranza della già piccola minoranza di vegan possa imporre con
la forza la fine della schiavitù animale. Si tratta, principalmente, di
esprimere una rivendicazione chiara che vada oltre il semplice appello alla
generosità individuale, una generosità che si esprime con l'adozione di uno
stile o filosofia di vita vegan. E questo costituisce forse il punto principale
che connota il Movimento per l'Abolizione della Carne (assieme al suo carattere
internazionale – un aspetto che ne fa un'eccezione nel panorama
animalista/antispecista).
Contrariamente
a quanto siamo abituat* a fare, la rivendicazione di abolire allevamenti, pesca
e mattatoi non fa appello ai singoli in quanto consumatori, cioè come persone
che possono scegliere alimenti di origine animale oppure alimenti
“cruelty-free”. Tale rivendicazione fa appello alla società nel suo complesso,
proprio perché ciò che combatte non è un problema dei singoli, della loro crudeltà
o di qualche altra loro “stranezza”, ma della società, appunto. Naturalmente,
non può che rivolgersi anche alle singole persone, ma non in quanto
consumatori. Non chiede loro di “diventare vegan” (se non secondariamente), ma
di schierarsi in quanto membri di una collettività, una collettività in cui
uccidere e torturare gli animali per ricavarne cibo è perfettamente legale (ed
anche sovvenzionato dalle istituzioni). Questo significa che il veganismo è
importante in quanto: a) assume un significato diverso da quello usuale,
diventando uno strumento individuale per sostenere la richiesta di chiudere i
mattatoi; b) non si pensa che convertire uno a uno gli individui al veganismo
possa essere la strategia vincente per la liberazione animale (e neppure per un
miglioramento radicale della condizione dei non Umani)[1]; c) non è
interessante colpevolizzare i singoli che non sono (ancora?) vegan, ma è più
giusto e proficuo contestare la produzione di carne come fenomeno sociale e
sistemico. Certamente, questo ultimo punto costituisce un motivo di dissenso
per Veganzetta, che vorrebbe che ogni iniziativa sul tema richiedesse
“un'autocritica in senso vegan”. Infine, è importante anche solo che la volontà
di arrivare ad un mondo senza mattatoi e senza allevamenti venga espressa
apertamente: è assurdo che chi, a livello individuale, si fa carico di una
scelta controcorrente come quella vegan, non sia dispost* poi ad esprimere
questa semplice rivendicazione, talvolta per un malinteso senso di libertà di
scelta [2] (“io sono vegan, ma ognun* deve essere libero di fare quello che
vuole”... con il corpo degli altri?).
Per
approfondire:
NOTE
[1] Questo punto è espresso in modo suggestivo, per
esempio, da Horkheimer, come indicato sullo stesso blog di Veganzetta (qui). Un ottimo
articolo sul tema del “proselitismo” vegan è quello di Antonella Corabi,
reperibile qui.
[2] Peraltro, Veganzetta non lascia alcun dubbio sulla
sua posizione in merito, essendosi sempre espressa in modo critico rispetto
all’idea di “libera scelta” in tema di uccisione di animali a scopo alimentare.